Storia di Molochio


Storia

Del piccolo centro preaspromontano si inizia ad avere documentazione storica, negli anni 1275 – 1279 (rif. Regesti Vaticani F.sco Russo Vol. 1 n. 1121), ove si trova la scritta: (Abbas sancte Marie de Moloyo, Regine dyoc1… solvit d.no Gregorio, arcidiacono Oppiden., collectori, pro primo anno tar. X. – Item solvit d.no Gullielmo predicto pro quinque ultimis annis, auri unc. J, tar. VII, gr. X).

Dalla scritta si rileva subito che si parla della Abbazia di Santa Maria de Merula di Molochio.
Circa la sua collocazione nel territorio comunale, doveva trovarsi sicuramente in Molochio Superiore, ma la precisa ubicazione non è stata mai identificata.
Nella "Opera pastorale di Annibale d’Afflitto" di Antonio Denisi si nota l’importanza che ha il piccolo centro per la sua attività di culto, infatti, vi sono 5 Sacerdoti, 1 Diacono, e 3 Chierici, oltre la funzione dei 5 cappellani presenti di cui 2 collaborano all’insegnamento della dottrina cristiana e per l’amministrazione dei sacramenti. Queste sono le visite, datate, alle chiese del Vescovo Annibale d’Afflito “ad rus Molochii”:

Die 14 mensis novembris anno 1595 Sanctae Mariae de Merla
Die 15 novembris 1595 S. Marci
Die 15 novembris 1595 S. Sebastiani
Die 15 novembris 1595 S. Stephani

Il Vescovo nella visita alla Merula scrive: “Ecclesia istat indiget reparatione ex omni latere, nam caret fonte baptesimali, cella procappellano…….,tecto, fenestris,…..,altaria, pavimento; reparatione in platea prope porta maiorem et reparatione etiam in hospicio abbatis”.
Le altre visite sono riferite a delle chiese situate a Molochio inferiore.
Giosofatto Pangallo, ne “I casali di Terranova” cita: “Nel casale vi era una “via di santa Maria" …all’interno di tale chiesa matrice vi erano le cappelle intitolate a S. Domenico e al SS. Sacramento; quest’ultima fu restaurata completamente nel 1633…..”
Nella ricerca dei documenti sono sorti numerosi dubbi, l’unica documentazione più plausibile ed attendibile è quella che c’è stata lasciata da don Vincenzo Tropeano . Infatti, egli attribuiva la fondazione della Chiesa di S. Vito al Vescovo di Conversano, nativo di Molochio, Iosepho Palermo . Il quale desiderava fondare tale chiesa a titolo di S. Giuseppe, oggi protettore di Molochio, “su un fondo da lui stesso comprato da diverse persone con proprio danaro, posto nel quartiere tra la Piazza (attuale Piazza Umberto II) ed il Race iuxta viam publicam”. Ciò avveniva il 27 agosto del 1663, e la prima pietra fu benedetta il 12 marzo 1667.
Per confermare la presenze dei Palermo a Molochio, si riscontra da Giosofatto Pangallo, ne “I casali di Terranova”, il quale scrive: “A Molochio, come in altri casali, il costo delle case variava rispetto al tipo, terranea o palaziata: una casa terranea con un piede di gelso nero, posta in località Piazza, fu venduta nel 1631 per il prezzo di 5 ducati da Domenico De Raco a Virgilio Plateroti, il quale nel 1632 vendeva a sua volta, a Pietro Palermo una metà casa palaziata, posta anch’essa in località Piazza, per il prezzo di 25 ducati” . Sicuramente tale atto si riferisce all’acquisto della casa dei Palermo.
Per volere di mons. Palermo la chiesa doveva misurare 70 palmi di lunghezza e 32 di larghezza. Essa in breve diventa tanto importante che le case che sono nelle vicinanze e sorgeranno a torno costituiranno il nuovo quartiere S. Giuseppe.

Una descrizione sommaria possiamo desumerla dalla visita pastorale del 1692 fatta dall’arcivescovo di Reggio Martino Ybanez de Villanova. “Sull’altare maggiore è posta la statua “ignea deadurata S. Joseph sub foramine marmoreo et porfido”. Ai lati vi sono quattro altari; due in cornu evangelii dedicati rispettivamente a S. Stefano protomartire e a S. Francesco d’Assisi, e due in cornu epistulae uno a N.S. Gesù Cristo e l’altro a S. Teresa.
La chiesa viene dotata di tutto il necessario per la celebrazione del culto. Mons. Palermo vuole che oltre al decoro vi sia anche lusso. Vi sono tre calici di cui uno di argento massiccio ornato di pietre preziose, una sfera dorata che contiene le reliquie della croce “con la sua autentica”, due campanelli ed un aspersorio d’argento, pianete “guarnite con trecce d’oro” cingoli con fiocchi in oro, quattordici vasi d’orati, per i fiori, candelieri di legno, avanti altari guarniti con pizzilli d’oro, tovaglie di seta ed altri suppellettili di chiesa che esso con i suoi propri danari donò per sua donazione, ed il campanile con tre campane.
Tutto questo splendore finisce un secolo dopo. Il terremoto del 5 febbraio 1783 che rese Molochio un cumulo di macerie e lo lasciò privo anche delle sue chiese, non risparmiò neppure questo magnifico tempio.
Nel piano di riedificazione delle Chiese parrocchiali volute dal Governo Borbonico furono stanziati oneri per la chiesa di “S. Giuseppe”, ricostruita sulle stessa fondamenta, doveva avere una lunghezza di 80 palmi e una larghezza di 35 ed altezza 24 palmi.
Così nel 1789 Molochio ebbe la sua nuova chiesa parrocchiale Arcipretale costruita dalla Cassa Sacra di Catanzaro, ove era stata già edificata da mons. Palermo 118 anni prima.
Molochio che prima del “flagello” aveva avuto cinque chiese, rimase dopo, per alcuni anni, con la sola chiesa parrocchiale costruita dal Governo Borbonico.
Trascorso appena un ventennio dall’apertura della nuova chiesa parrocchiale si avverte la necessità di una nuova chiesa. Quella esistente divenuta angusta essendo aumentata la popolazione minaccia di crollare e costituisce grave pericolo per il popolo che la frequenta: si rende perciò indispensabile la costruzione di una nuova chiesa parrocchiale.
In una prima perizia, redatta dall’ing. Oliverio, non si individua il luogo adatto per la costruzione e la richiesta non viene presa in considerazione.
Col passare degli anni, la chiesa va sempre più in rovina e minaccia pericolo serio; il decurionato, insiste che venga fatta una nuova perizia; approvato il piano per la ricostruzione della nuova parrocchia, il 2 ottobre del 1844 si scegli il progetto dell’arch. Francesco Saponieri di Napoli.
Il progetto è grandioso: la chiesa è costituita da una sola navata lunga 124 palmi e larga 50. Sotto i quattro archi delle pareti laterali sono collocati 4 altari. Il muro, al di sopra del cornicione porta scolpite le immagini dei dodici apostoli. Il tempio risente del settecento napoletano. Nella nicchia dell’altare maggiore imponente troneggia la statua di S. Maria de Merula. Il campanile, progettato nella parte posteriore, dà slancio ad una facciata semplicissima di stile neoclassico, lunga 60 palmi, in netto contrasto col barocco dell’interno, sul cui fronte vi è scritto: “Terremotu destructum cincinnius resurgebat”.
Il luogo più adatto per l’edificazione è quello dove sorge la parrocchiale costruita dal Governo Borbonico, dopo il terremoto del 1783, divenuta ormai pericolante. Si abbandona la vecchia pianta e si scavano fondamenta più larghe e più lunghe. Il campanile, che il progetto del Saponieri aveva previsto nella parte posteriore, viene costruito sul lato sinistro di chi guarda la facciata.
L’11 maggio del 1847, l’arciprete Pasquale Scarpai benedice la prima pietra della nuova chiesa sotto il titolo di S. Maria de Merula e vi pone una medaglietta d’argento con l’immagine della Vergine.
Dopo varie vicissitudini economiche il 17 settembre del 1853 la chiesa, completata nelle sue strutture essenziali, ma priva di altare maggiore, antiporto, orchestra, pittura e stuccatura, viene benedetta dall’arciprete P. Scarpai ed officiata nelle domeniche e nelle feste.
Il novembre dello stesso anno vengono stanziati dei fondi, con i quali si eseguono la pittura e la costruzione dell’altare.
Tra i tecnici vincitori dei contratti d’appalto iniziano dei litigi che si protraggono per ben quattro anni.
Quando venne definitivamente terminata la chiesa di Molochio di “diritto comunale”? Forse alla fine del secolo forse mai.
Il 10 giugno 1860 l’arch. D. Domenico Sorrentino (che successe all’arc. Scarpai) scriveva così all’Arcivescovo di Reggio: …Considerando d’altronde che la chiesa arcipretale è un tempio maestoso, centrale ed accessibile da tutti i punti del Comune…
I molochiesi poterono godersi la chiesa parrocchiale così bella, così imponente poco tempo: quanto bastò che si imprimesse nella mente dei nostri nonni.
Il terremoto del 1908 lasciò i molochiesi, ancora una volta, privi della loro chiesa parrocchiale. Metà del campanile rovinò sotto le scosse del sisma, la chiesa resistette anche se riportò qualche piccola lesione.
Venne dichiarata pericolante e, pertanto, bisognava abbassarla. Rimase chiusa al culto sino al 1916, quando gli intrighi e i soprusi ebbero il sopravvento.
La chiesa – così come oggi possiamo vederla – fu privata della sua parte superiore. La mano del capomastro non andò per il sottile e distrusse quello che il terremoto aveva risparmiato.

Furono iniziati i lavori di riadattamento: si misero tiranti di ferro per tenere legata la copertura, si rifece il tetto. Restaurata alla meno peggio, la notte di natale del 1921, con l’amarezza ed il rimpianto nel cuore, l’arciprete mons. De Leo e il popolo molochiese, nel tempio decapitato, poterono, ancora una volta, cantare il “Gloria a Dio e pace in terra agli uomini di buona volontà”.
Si sono reperiti dei progetti datati 1789 firmati dall’ing. Pietro Galdo, in tali progetti non si hanno degli elaborati grafici, cosa che sarebbe stata interessante ai fini dello studio.

Feudo di diversi casati nobiliari, dalle antiche origini, divenne Comune nel 1811. Subì gravi danni a causa del sisma del 1783. Nelle campagne del suo territorio si possono ammirare architetture di un certo rilievo: un mulino ad acqua, vecchie case, antiche fontane. Nel centro abitato si evidenzia la presenza di qualche interessante palazzotto nobiliare dai bei portali in granito e, davanti al Duomo, due belle piazze, ampie e squadrate. Obiettivo del turista sarà senz'altro il Convento mariano, il cui Santuario è il stato il primo in Italia ad essere dedicato alla Madonna di Lourdes. All'interno si potrà ammirare una statua in legno raffigurante Santa Maria de Merola (1550 circa), trovata in un roveto del paese vecchio.
Da Molochio si può raggiungere il villaggio montano denominato "Trepitò", distante circa 10 Km, dotato di bar e ristoranti, dal quale si può poi procedere verso lo Zillastro e il Sanatorio di Scido, nel cuore dell'Aspromonte, oppure verso lo Zomaro e la costa jonica. L'agricoltura di questo centro è piuttosto sviluppata, al punto da renderlo uno dei più ricchi della provincia. Si coltivano oliveti e agrumeti. I suoi boschi, estesi e folti, hanno fatto nascere numerose e fiorenti industrie per la lavorazione del legno e la produzione del carbone. Vi è, inoltre, un'industria olearia.
Molochio è un borgo agricolo immerso negli ulivi e sovrastato dai vicinissimi boschi dell'Aspromonte. Ad alta quota si trovano il pino laricio, il faggio e l'abete bianco; l'acero , il leccio e il carpino a quote più basse. Tra questi alberi è possibile avvistare lo scoiattolo, il lupo, la volpe, il cinghiale. Nelle vicinanze dell'abitato si trova il torrente Barvi immerso in una suggestiva vegetazione che custodisce le cascate Galasia e rare specie di felci. In Contrada Vitarito, nelle vicinanze del torrente, versa in stato di abbandono un antico mulino ad acqua "a caduta" anticamente punto di riferimento di gran parte degli abitanti dell'area, che usavano fare il pane, i dolci e la pasta in casa. Erano molto più diffuse le colture di gelso, di ulivo, della vigna, dei fichi e le coltivazioni a castagneto e a grano germano tanto da far sembrare Molochio un giardino o posto di malve come indica lo stesso termine greco ( Molochion).
L'economia di Molochio è basata sull'agricoltura e soprattutto sulla produzione di agrumi e olive. L'olivicoltura è sviluppata in tutte le sue fasi anche in quella della trasformazione; esiste infatti un'azienda per l'utilizzo della sansa in campo industriale. I boschi dell'Aspromonte forniscono dell'ottimo legname per gli artigiani che lo impiegano nella realizzazione di infissi, mobili e parquet. Resistono anche gli antichi mestieri del "forgiaro" e del marmista. Il centro abitato sorse nel 1400 come casale di Terranova, appartenne ai Correale dal 1458 al 1501 e ai Grimaldi di Gerace fino al 1806 . Si distingue Molochio Superiore da Molochio Inferiore, distrutto interamente dal sisma del 1783. Dopo il terremoto l'area si caratterizza in tre divisioni : il centro antico, quello sorto tra le due guerre e quello di recente formazione. All'interno del paese Vecchio, a piazza Umberto I, sorge la chiesa di S.Vito edificata nel XVII secolo ad opera di don Giuseppe Palermo, conserva le statue di S.Rocco, della Madonna e di S.Vito. Anche l'Asilo Comunità di S. Giuseppe fu commisionato da Mons. Palermo, sui resti della badia basiliana. Ridotta in rudere nel 1783 fu ricostruita nei primi anni del Novecento portando alla luce i ruderi della struttura bizantina. Prende il nome dall'antica chiesa del monastero basiliano che sorgeva nei pressi del paese, la Chiesa Parrocchiale di S.Maria di Merola oggi situata in Piazza Vittorio Emanuele III.
L'interno custodisce un quadretto del XV-XVI sec. di autore ignoto, considerato miracoloso dai molochiesi. A questa miniatura della Deposizione di Cristo è legato un rito che si ripete ogni anno: al termine delle celebrazioni serali di Natale e Pasqua i fedeli baciano il quadretto beneaugurante. A Molochio è stato costruito anche il primo santuario della Madonna di Lourdes edificato in Italia nel 1901 a circa un kilometro dall' odierno abitato tra ulivi secolari. Dietro l'altare maggiore è custodita la statua lignea della Madonna di Lourdes scolpita a Parigi alla fine del XIX sec. e donata dalla contessa Maria Probeck. Tra i più antichi palazzi del centro urbano di Molochio Palazzo Vernì è in stile neoclassico, costruito alla fine del settecento e Palazzo Sorrentino che risale invece al 1896. La torre civica, definita da molti il simbolo di Molochio fu edificata dopo il terremoto del 1908. Sono molto fervide le manifestazioni popolari con le celebrazioni di festività religiose e civili, le sagre, i festeggiamenti in piazza con la musica, i fuochi d'artificio. Tipico dell'area è il rito chiamato "a Tocca" che si svolge la domenica di Pasqua prima della celebrazione religiosa.
Il parroco accompagnato da un giovane del paese fa il giro di tutto l'abitato con uno strumento rumoroso (la tocca) per annunciare la Resurrezione di Cristo. Mentre il rito dei Virgineij avviene la settimana prima della festa patronale e un tempo riguardava solo i bambini più bisognosi del paese(virgineij). Oggi anche agli adulti viene offerto il pranzo di pasta e ceci per grazia ricevuta o per"aver fatto voto". Si hanno delle testimonianze che a Molochio fu molto sviluppato anche l'allevamento del baco da seta e quindi le colture del gelso bianco e delgelso moro tutt'oggi presenti tra i boschi di ulivi.
L'industria della seta resistette qui fino al 1800 e mentre le donne attendevano allo sfrondo del baco da seta cantavano dei versi poetici che si rifacevano alle leggende cavalleresche e alla morte di Orlando. Gli unici versi poetici documentati, sono stati raccolti a Molochio e, costituiscono l'elemento di continuità con la canzone d'Aspromonte, importante poemetto epico-cavalleresco del XV sec.recitato in riva allo Stretto, in cui viene descritta l'enfance di Orlando mentre supera le prove per divenire cavaliere nell'Aspromonte.